MAPS TO THE STARS (2014)
Regista: David Cronenberg
Attori: Robert Pattinson, Carrie Fisher, Julianne Moore, John Cusack, Mia Wasikowska
Paese: Canada/USA
Un po' di gente con un po' di discrete ossessioni e un po' di traumi infantili alla base di quelle ossessioni. Il nuovo Crononberg, relativamente nuovo, che dalla violazione della carne come aspetto preponderante del suo cinema passa alla violazione della mente in maniera più ben più netta, rendendola non solo motore immobile ma assoluta protagonista.
Maps to the Stars è in questo senso emblematico, più che un film è un incubo che non risponde sempre alla logica, e che al contrario, ogni tanto, piazza qua e là robe in parte surreali, e sceneggiaturisticamente e visivamente. E' caricato ed esagerato, anche, sfiorando la parodia ma senza mai davvero assurmene i classici toni ironici, ché di fondo, si scriveva, resta un incubo. L'ultima fatica di Cronenberg, inoltre, è un po' un film del cazzo, diciamocelo.
Al di là degli entusiasmi di molti che si scagliano contro presunti critici che non capirebbero nulla, o presunti individui medi non in grado di apprezzare a fondo un'opera così profonda, così d'autore, così metaforica, la pellicola è palesemente debole, sotto vari aspetti, compreso il più importante, ossia quello filmico in senso stretto. Annoia, non riesce a fornire appigli a cui lo spettatore, seppur poco convinto, possa aggrapparsi per farsi trascinare nella visione. Perché è di Cronenberg che si sta parlando, non certo l'ultimo scemo, quindi gli si dà credito, anche se non particolarmente coinvolti. Ci si aggrapperebbe per partito preso, sulla fiducia. Peccato che il regista sia il primo a non fornirne (di appigli). Appare fin da subito un po' inconcludente e non si sa bene dove voglia andare a parare, non si sa bene su cosa concentrarsi esattamente. Ma potrebbe essere una scelta calcolata, perché il regista magari vuole scardinare i cliché, non proporre la solita linearità. Magari è proprio ciò che cerca, disorientare lo spettatore, non dargli troppi punti di riferimento per colpire solo più tardi. Probabile che nel prosieguo sia esattamente ciò che accadrà. Ma il problema con il "probabibile" è che l'evento non accada. E infatti non accade.
Così come inizialmente non si capisce bene dove il film voglia andare a parare, allo stesso modo non si capisce poi. Se voleva essere una critica allo show business, allora il film non si avvicina nemmeno all'affondo decisivo. Un po' di psicosi, un po' di pilloline, due gocce di Xanax. Ormai è una bibita seconda solo all'acqua lo Xanax, si sa perfettamente che ci sono parecchie storture, derive e debolezze, ce ne sono quante ne desideri e soprattutto sotto gli occhi di tutti, e se vuoi una critica feroce, al mondo Hollywoodiano nel caso in specie, non ci riesci con due stronzate su qualche psicofarmaco e un paio di grammi di cinismo tra prime donne sul set. Specie se qualcuno ci era riuscito egregiamente già una cinquantina di anni fa. Allora, forse, avrebbe avuto un certo effetto, ma oggi no, decisamente no. Ora come ora per fare una critica feroce non basta spiattellare determinate dinamiche, quotidinamente allo scoperto, sullo schermo, bisogna riempirle di pathos. Bisogna che arrivino. E che facciano male. Ma in Maps to the Stars non fa male in realtà nulla.
Voleva essere un viaggio nelle psicosi umane? Va bene, ma non c'è niente di nuovo, o che arrivi in maniera nuova. Intendiamoci, Cronenberg è sempre stato un regista abbastanza asettico nella messa in scena, ma tra alti e bassi riesce pur in quell'asepsi o proprio grazie a quella a ricreare un'atmosfera in grado di accogliere lo spettatore. Questa volta, però, pur avvertendola una certa dimensione, non si può non ammettere che è davvero poca roba, di certo non sufficiente a contrastare né tanto meno a giustificare la noia di cui sopra, che peraltro nel mentre continua ad aumentare.
E al termine il disegno del regista diviene lievemente più chiaro. E' un film nel film. E' la sceneggiatura di cui parla Agatha, su incesti vari conditi con un po' di mitologia. Aspetto, quest'ultimo, che va a posteriori a giustificare le scelte surreali di cui si scriveva inizialmente. E' lei che vive il film che dice di voler girare, nel film che sta raccontando lei che vuole girare il f... insomma un casino, su cui non è il caso di soffermarsi. Uno stratagemma con cui Cronenberg decide di mischiare le carte in tavola e disorientare. Ricorda Lynch in Mulholland Drive, lì però pur non capendo nulla alla prima visione, l'empatia non si quantificava. Qui invece si è disorientati, ma anche discretamente annoiati.
Un film nel film, quindi, quest'ultimo lungometraggio di Cronengerg. Un film che racconta un altro film. Un film che però oltre a raccontare un altro film contestualmente lo vive. Peccato solo che il film che il film racconta faccia un po' cagare, ecco.
C'è da dire che questo film non è di Cronenberg al 100%, non avendolo scritto lui. Poi io confermo tutto quello che dici, tranne i paragoni con Lynch e la noia, perché credo che questo film non sia noioso praticamente mai: si cerca di capire cosa cavolo potrebbe succedere a nche se alla fine non succede nulla e questo grazie all'unica cosa riuscita: la parte tecnica.
RispondiEliminaAh ecco, già il fatto che non l'abbia scritto lui è un'attenuante (per il regista ovviamente, non per il film). E comunque non ho capito se ti è piaciuto o meno, dato che non ti ha annoiato. Per me vederlo è stato un mezzo parto, ma senza la nascita di un bimbo al termine.
EliminaProprio oggi ho scritto la mia, comunque no, non mi è piaciuto, ma non mi ha annoiato
Elimina