NO REST FOR THE WICKED (NO ABRÀ PAZ PARA LOS MALVADOS) (2011)
Regista: Enrique Urbizu
Attori: José Coronado, Rodolfo Sancho, Helena Miquel
Paese: Spagna
“No Rest For The Wicked” è un piccolo mistero, diciamocelo chiaramente. Alla ventiseiesima edizione dei Goya, il riconoscimento cinematografico più importante in Spagna, ha sbaragliato la concorrenza portandosi a casa ben 6 premi, quelli più importanti: miglior regia, miglior film, miglior sceneggiatura originale, suono, montaggio, miglior attore. E in gara c'era anche un certo Almodovar. Ora, non si capisce se le altre pellicole fossero particolarmente scarse, e se quindi, dovendo comunque consegnarli questi premi, la pellicola di Urbizu si è ritrovata a farne man bassa, oppure se se ci si è lasciati prendere un po' troppo la mano nella consegna degli stessi. Fatto sta che l'ultimo lavoro del regista spagnolo è tutto fuorché convincente al punto di imporsi in una maniera simile anche all'esterno della manifestazione.
Le premesse, però, sono al contrario ottime, tanto che dopo aver letto il soggetto le si dà piena fiducia senza remora alcuna, e nel caso vi sia i premi ricevuti aiutano notevolmente a metterla a tacere. Santos Trinidad è un poliziotto sempre più alla deriva, solo e alcolizzato. Dopo una carriera che sembrava destinata a brillare, viene trasferito alla sezione “persone scomparse” senza luminosi futuri professionali all'orizzonte. Una sera, dopo aver bevuto troppo, più del solito, se la prende con il gestore di un bar, colombiano e non propriamente pulito, e finisce con l'uccidere tre persone. Una quarta riesce a scappare e Santos non potrà fare altro che mettersi alla ricerca dell'uomo. Parallela l'indagine della polizia sui tre omicidi nel bar, che si imbatterà inevitabilmente nel protagonista.
Le prime sequenze sono assai accattivanti, in termini di fotografia come anche di dialoghi e regia. Il personaggio convince immediatamente con quel suo essere rozzo, trasandato e palesemente pericoloso. Lo stile, seppur cinematografico, è asciutto e sembra non aver intenzione di ricorrere a fronzoli di sorta, infatti per l'intera durata della pellicola non se ne vedrà nessuno. Solo la fotografia si mostra più propensa ad un certa ricercatezza, specie in termini di cromatismi, tanto che la sequenza che scatena poi l'evolversi dell'intreccio è assai notevole. Dopo di essa, però, sembra che Urbizu decida di smettere di voler comunicare con la sua macchina da presa, disattendendo sequenza dopo sequenza le promesse iniziali. Lo stile registico da asciutto si fa leggermente asettico, pur restando funzionale, la fotografia diviene invece del tutto anonima (salvo casi isolati) e Trinidad non trasmette più alcuna emozione. I dialoghi, allo stesso modo, mostrano una debolezza che di certo non ci si aspetta dopo un inizio così convincente; non che in apertura siano sconvolgenti, intendiamoci, ma mostrano con qualche scambio di sapersi mettere al servizio di una simile sceneggiatura. Nel prosieguo, invece, non sono altro che un susseguirsi di frasi correlate all'indagine, fredde e in nessun modo capaci di dare profondità ai personaggi, che appaiono infatti anonimi e poco interessanti.
Non sono solo i dialoghi, tuttavia, a non convincere ma l'intera sceneggiatura, che si concentra unicamente sul portare avanti l'intreccio, quasi a scriverla sia stato un automa. Non vi è una parentesi che sia una interessata a raccontare la parte più viscerale di questa caccia all'uomo, nonostante in una storia del genere sia preponderante. Si alternano al contrario parentesi senza anima alcuna, che mettono in scena i tasselli dell'intreccio a mo' di elenco più dovuto che sentito. Oltre ai personaggi, quindi, tutto quanto accade si rivela poco interessante. Si fa fatica ad andare avanti con la visione, tanto che lo si fa più che altro per inerzia. E se non fosse per il ritmo serrato non ci si riuscirebbe neanche. Sì, perché almeno il ritmo è sostenuto, peraltro al punto che con poco, con un minimo di pathos, la pellicola ne avrebbe considerevolmente guadagnato, rendendosi magari non una visione imperdibile ma comunque piacevole. Non accade invece niente di simile, e anche nel finale, climax del racconto, l'asepsi emozionale regna sovrana, con la macchina da presa in chiusura sull'attore protagonista che ringrazia con un movimento assolutamente ridicolo e poco credibile.
“Spreco” è senza dubbio alcuno il primo termine che viene in mente a fine visione. Non solo infatti la sceneggiatura è in potenza assai efficace, ma anche la gestione tecnica (intenzionalmente, almeno) è tale che si sarebbe potuta risolvere in una valorizzazione affatto indifferente di storia e personaggi, in grado di restituire un poliziesco duro, sporco e di un realismo capace di coinvolgere ed emozionare. Ma ha vinto ben 6 premi, probabilmente i limiti sono tutti di chi scrive.