BRAND UPON THE BRAIN - A REMEMBRANCE IN 12 CHAPTERS (2006)
Regista: Guy Maddin
Attori: Gretchen Krich, Sullivan Brown, Maya Lawson
Paese: USA, Canada
“Fiume in piena” suggerisce un'idea riduttiva di quanto messo in scena dal regista canadese con questo suo ennesimo lungometraggio. Un flusso di ricordi tanto limpidi quanto confusi. Quelli di un di un uomo che torna sull'isola che ha avvolto la sua infanzia. Figure materne severe, folli, esagerate; figure paterne imperscrutabili e inquietanti. Un orfanotrofio in cui ci si muove attraverso porte che appaiono sempre più piccole; attraverso ambienti e pareti che stringono fin troppo: un faro. Il faro dell'isola, claustrofobico e angosciante. La regia Di Maddin lo rende quasi minaccioso. Lo rende strumento di controllo di una madre che scruta dall'alto quanto accade all'esterno. Una prigione, con la sua ora d'aria per figli e bambini.
Maddin estremizza tutto fino a renderlo esageratamente grottesco, troppo perché i volti inquietino più dei personaggi cattivi di una fiaba. Troppo perché i volti, gli altri, appaiano candidi come i personaggi buoni di una fiaba. Maddin estremizza, Maddin estremizza sempre. È quel suo modo lucidamente distorto di intendere il cinema. Quella sorta di flusso di coscienza che sistematicamente ricrea. Sembra volersi spingere oltre, questa volta. Sembra riuscirci. Non gli mancano certo gli strumenti per farlo, del resto. Un baraccone in cui tutto sembra trovare il suo posto. La regia è quella di un film muto, la fotografia è quella espressionista. Ma la fotografia ha anche momenti, brevi, di colore e il montaggio è martellante. L'intera pellicola è martellante. Sequenze così brevi da tendere al fotogramma si alternano ad una velocità ipnotica, capace di rendere quel sensibile contrasto di luci appena sopportabile. Un montaggio irregolare così frenetico da risultare sfiancante. Perché quello di Maddin è un cinema sfiancate per definizione. Frenetico, dicevamo. Frenetico è il ritmo al quale vengono vomitate parole - Maddin ha deciso di andare oltre questa volta. Lo si tenga a mente. Ai testi che accompagnano il muto si accosta il sonoro. Si scavalcano vicendevolmente. All'orecchio viene detta una cosa, allo sguardo ne viene suggerita un'altra. Uno sguardo più volte provocato con testi o parole illeggibili perché lasciati appena una frazione di secondo sullo schermo. Quella stessa frazione di secondo concessa ad un'inquadratura prima che il montaggio la strappi via con un taglio netto, facendo spazio alla successiva. Illeggibili, altre volte, perché si è concentrati sul sonoro. Inascoltabile quest'ultimo, altre volte ancora, perché si è intenti a leggere i testi, o a cercare di farlo. Il concetto arriverà lo stesso, resta da capire come e quando.
Si può tuttavia riprendere fiato. Il regista canadese alterna, alle precedenti, sequenze più misurate in cui i tagli netti e le successioni veloci vengono sostituite da dissolvenze, incrociate e non. A scandire i ritmi ancora una volta un sonoro che sembra dirigere un'intera orchestra. Cinema di un secolo fa, arricchito da elementi che un secolo fa non erano tali o non potevano esserlo. Nudi, erotismo, omosessualità, crudezza, accenni di colore, voce narrante. Cinema di un secolo fa. Gonfiato con orpelli moderni, si potrebbe pensare. Sbagliando. Quello di Guy Maddin è il risultato di una fusione perfetta che assomiglia al passato, ricorda il presente, ma che non è nessuno dei due. Sospeso tra il vecchio e il nuovo si ritaglia una sua dimensione. Apre sentieri tra una strada conosciuta e l'altra, la percorre, ma non la suggerisce. A Maddin non interessa che il suo cinema sia frubile. Maddin punta a sfiancare, è bene ricordarlo. Quasi cento minuti di provocazione visiva e sonora in cui si alterna di tutto. Anche a livello diegetico-tematico. Dodici capitoli sottolineano i continui cambi di registro. Minuti di grandangolare spensieratezza sfumati in parentesi malsane; ritratti sentimentali tra giovani donne contrapposti ad una ricerca disperata del ritorno alla giovinezza; Esperimenti grotteschi mossi da quella ricerca evolvono in cadaveri che tornano in vita al suono di una lussuria disturbante.
Vorticoso e nauseante, ripercorre ricordi di lì a poco vissuti nuovamente. Un protagonista ormai adulto costretto a riviverli. Non è mai andato oltre. Quel suo oggetto del desiderio, ancora intatto nella sua memoria, inarrivabile, tanto da non permettere alle sue stesse labbra di andare oltre gli stivali della sua amata. Tranne una sola volta, audacia però smorzata dalla voce della madre; voce distorta dall'apparecchio attraverso cui in passato gli intimava di tornare; voce che è tornata a dettare tempi. Un passato che ritorna e si confonde col presente, come il cinema del canadese. Un cinema a tratti insostenibile, autocompiaciuto. Capace però di smuovere. Respinge a più riprese, non per noia ma per necessità. Non si preoccupa di rendere fruibile un linguaggio cinematografico oggi dimenticato. Al contrario, lo complica. Lo ha sempre fatto. Lo ha fatto quando ha mischiato il balletto al cinema in “Pages From a Virgin's Diary”, o quando ha riscritto la struttura del documentario in “My Winnipeg”. No, decisamente non si preoccupa della fruibilità. Tanto che ogni sua pellicola lascia dietro di sé un retrogusto spesso indecifrabile. Quanto sia esercizio di stile, seppur estremamente notevole, e quanto contenuto. Se sia un effetto ottico-sonoro che ammalia per nascondere il nulla o se sia cinema di spessore. Una cosa è certa: difficilmente vedrete qualcosa di simile in giro.
Non sono mai andato oltre nel mondo di Maddin, e credo che non lo farò.
RispondiEliminaOttima anche la tua di recensione, da oggi ti seguirò con piacere.
@Eraserhead
RispondiEliminaEd io farò lo stesso. Comunque la tua decisione di non approfondire la filmografia di Maddin è più che comprensibile ;)
Ecco. Sono questi i film che mi fanno davvero paura.
RispondiEliminaNon so se evitare o seguire l' istinto che mi spinge a vederlo così, tanto per farmi del male a gratis
@ilgiornodeglizombi
RispondiEliminaLungi da me dispensare consigli. Non mi va di dirti di non vederlo, ma ancor di più non mi va di consigliartelo.
Non lo avevo mai nemmeno sentito nominare, ma le immagini che hai postato mi hanno attirata un sacco. La recensione, come sempre, l'ho troncata a metà per non rovinarmi eventuali "sorprese". Cercherò.
RispondiElimina@Bollalmanacco
RispondiEliminaTranquilla, temere uno spoiler nel cinema di Maddin sarebbe come temere di morire cadendo da un cm di altezza ;)
Buona fortuna, se decidi di vederlo.
Non posso non vederlo. Se mi faccio male la colpa sarà tua perchè non sapevo neanche cosa fosse...
RispondiElimina@Frank
RispondiEliminaAhaha, quel "se" è la cosa più superflua di sempre.
@Elio
RispondiEliminaNon vedo l'ora allora... tanto ogni film che vedo mi fa male, ma questo so già che mi ucciderà...
@Frank
RispondiEliminaFammi sapere quando lo vedi, dopo aver raccolto i cocci della tua sopportazione.