MELANCHOLIA (2011)
Regista: Lars Von Trier
Attori: Kirsten Dust, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling, Alexander Skarsgård
Paese: Danimarca, Francia
Panico. Le sequenze d'apertura dettate dalla riscoperta di mezzi esterni al Dogma95 lasciano presagire il peggio. Sensazione capace di atterrire se si considera che per “peggio” s'intende la pellicola precedente del regista. L'inizio del nuovo lavoro di Lars Von Trier sembra, infatti, un preludio ad una sorta di “Antichrist” 2.0 che laddove si fosse concretizzato avrebbe reso “Melancholia” solo una riproduzione in scala 1:100000 del contatto e della conseguente distruzione di due altre sfere, queste però molto più vicine allo spettatore. E invece l'apocalisse resta fortunatamente solo sullo schermo, sventando quella che sarebbe potuta essere quanto mai reale. Questa volta il regista danese non si annulla nel suo manierismo, non si perde tra un fotogramma e l'altro e sforna una pellicola che al di là del gusto personale può dirsi assolutamente valida.
Per raccontare la sua malinconia si serve di nomi di tutto rispetto e mette in scena il matrimonio tra Justine (Kirsten Dunst) e Michael (Alexander Skarsgård) nella villa di John (Kiefer Sutherland), marito di Claire (Charlotte Gainsbourg) e sorella di Justine. Divide il racconto in due capitoli e privando Justine del primo piano dedica la seconda parte a Claire, esplorandone intimità e debolezze, e al pianeta “Melancholia”, che rischia di collidere con la Terra, distruggendola.
L'intera pellicola è pervasa di un senso di indefinito capace al tempo stesso di svuotare ed inquietare. Svuotare quanto accade, rendendo il matrimonio un modellino di cartapesta, ed inquietare, suggerendo quel nulla malinconico che proprio in quanto tale non può riempire un vuoto che quindi resta tale. Justine si allontana dal suo matrimonio in maniera sistematica, a volte per spogliarsi del suo vestito e perdersi in un bagno caldo, altre volte per dormire nei momenti più importanti della cerimonia, altre volte ancora per passeggiare nella parte esterna della villa. Michael, dal canto suo, sembra non farsi troppe domande pur non avendo al suo fianco colei che proprio in quell'occasione non avrebbe dovuto far altro che stargli affianco. Von Trier racconta queste parentesi quasi come fossero normali, almeno nella prima parte della pellicola, riuscendo così a trasmettere quel senso di straniamento che si rivelerà in seguito fondamentale per quel tratto predominante da cui la pellicola prende il titolo.
In questo capitolo la fotografia, aiutata da ambientazioni sfruttate in maniera brillante, ricerca luci particolarmente calde perché possano scontrarsi con la freddezza interiore di Justine, che dispensando forzati sorrisi si aggira per le stanze non riuscendo a nascondere la sua assoluta inadeguatezza. Amplificata, quest'ultima, dai suoi continui tentativi di lasciarsi andare a quei festeggiamenti che non le sono mai appartenuti, fin da prima ancora di prenderne parte. Fotografia che al contrario, non a caso, sottolinea perfettamente la felicità che sfiora la favola di Michael, nel giorno, a suo dire, più bello della sua vita. Almeno fino al momento in cui anche lui non potrà più evitare di guardare negli occhi la malinconia di colei che sarà sua moglie ancora per qualche istante e abbandonerà il suo stesso matrimonio.
Con Michael, l'unico personaggio capace di provare una genuina serenità e che non a caso esce di scena, vengono meno anche quei colori capaci di restituire un certo calore alla pellicola, seppur solo formale. La seconda parte, infatti, si mostra principalmente per una fotografia, all'opposto, più spenta, che ora cede alla malinconia invece di contrastarla, palesando il volto reale e definitivo della pellicola. In primo piano adesso c'è Claire. Viene mostrata non più solo per quell'aspetto apparentemente sicuro e misurato visto nella prima parte, ma anche e soprattutto per quello più fragile e debole nei confronti dell'ipotesi catastrofica che incombe sulle loro esistenze. Profilo che ben si adatta ai toni grigi assunti dalla pellicola e rafforzati anche da una Justine che è ormai del tutto in balia della sua sofferenza. Lo è, almeno, fino a quando la fine non smette di essere lontana e diviene imminente realtà, perché con essa diverrà realtà anche la fine della sua miserevole esistenza. Ed è a questo punto che il film si prende gioco della speranza insita nell'umanità, attribuendo a “Melancholia” una curva beffarda che lo porterà a sfiorare la Terra ed allontanarsi da essa prima e ad avvicinarsi nuovamente fino a travolgerla dopo. Quest'aspetto è gestito in maniera assai notevole da Von Trier al contrario della parte appena precedente limitata da qualche lungaggine di troppo, cosa che in un film di questo tipo assume un peso non indifferente. Prima della fine, quindi, il regista danese distrugge, e ci tiene a farlo, la speranza, ravvivandola e poi costringendola a spegnersi. Justine, infatti, con una ritrovata fredda vitalità incalza Claire sbattendole in faccia l'inevitabile e forzandola alla rassegnazione. Ed è qui che Von Trier fa un altro passo falso, rincarando eccessivamente la dose per bocca della stessa Justine. Le sue riflessioni divengono forzate e anche un po' banali, probabilmente figlie dei traumi del piccolo Lars: si passa da “La vita è cattiva” a “merita di sparire” che sembrano far parte di un quadro che sarebbe stato completo con qualcosa tipo “Vi odio tutti. By Sonosolo92”. Aspetti, comunque, che limitano la pellicola ma che fortunatamente non ne minano la riuscita.
Un film catastrofico quasi senza catastrofe, insomma. Solo Peter Weir aveva osato di più con “L'Ultima Onda”, meraviglioso, negando alla catastrofe anche i soli due minuti ad essa dedicati da Von Trier. A minacciare l'umanità, più che il pianeta, sembra il vuoto, il nulla esistenziale, la malinconia. Ogni personaggio, a ben vedere, sembra arrancare nella sua inadeguatezza seppur con reazioni diverse. Il padre di Justine, dietro il divertimento di facciata, sembra fuori dal mondo ed esterno alle sue dinamiche; la madre di Justine è identica alla figlia; Claire smette di essere presente mostrando reazioni non propriamente stabili; John reagisce in maniera repentina e tragica senza affrontare nulla e nessuno. Sembra quasi che la malinconia venga presentata come tappa ultima di un'umanità destinata al nulla emotivo e quindi come strumento di distruzione. Come la vera ed unica minaccia all'esistenza. Non a caso il pianeta che nel film la distrugge si chiama per l'appunto Melancholia.
In quest'ottica l'obiettivo di Von Trier è “semplice”: dare un volto alla malinconia. Mette in chiaro fin da subito come andrà a finire, attraverso sequenze di immagini che svelano la collisione tra i due pianeti; fa così in modo che lo spettatore abbandoni qualsiasi altra ipotesi risolutiva e sia predisposto al suo racconto. Alla descrizione di un sentimento privo di speranze. La pellicola è questo, null'altro. Non c'è da scavare oltre, non ci sono riflessioni profonde, non nasconde un trattato di filosofia. È una descrizione pura e semplice che sfocia nella più pessimistica delle visioni.
Senza dubbio riuscito, in definitiva, “Melancholia” soffre però di difetti evidenti. Le interpretazioni strepitose della Dunst e della Gainsbourg in parte li nascondono, ma ovviamente la sensazione che con qualche accortezza in più in fase di sceneggiatura la pellicola sarebbe stata di tutt'altro peso resta.
Ecco. E' esattamente come la penso io. Un film riuscito, soprattutto nella seconda parte e con qualche dialogo pieno di nichilismo d' accatto che il piccolo Lars poteva risparmiarsi
RispondiEliminaIo avrei tagliato una ventina di minuti nella prima parte. Il matrimonio è troppo insistito, troppo ripetitivo, troppo urlato. Tutto. La depressione di Justine è talmente sbattuta in faccia allo spettatore che sembra forzata, poco credibile, ridicola, in alcuni momenti (la scena di sesso sul campo da golf). Poi vabbè, Von Trier è bravo a cambiare stile e registro nella seconda parte.
ma, come dici anche tu, l' ultima onda era un' altra cosa.
@ilgiornodeglizombi
RispondiEliminaNo vabbè, la scena di sesso nel campo da golf. Non ne parliamo che nel mio caso è stata resa ulteriormente pessima dal commento di una deficiente: "che cosa stanno facendo?"
...
Va a finire che questo film non l'ho visto solo io:D. Al mio collega che ha fatto la recensione di Melancholia sul nostro blog è piaciuta più la prima parte che la seconda. E' interessante leggere la tua visione e confrontarla con la sua. Ho avuto davvero una visione completa della situazione:D. Ma prima o poi lo vedrò anch'io, devo farlo.
RispondiElimina@cinefatti
RispondiEliminaGuarda, questa volta me la prendo la responsabilità di consigliarti qualcosa, dato che come ho scritto la pellicola, al di là di tutto, può sicuramente dirsi riuscita.
Teniamo conto che non condivido l'entusiasmo generale per questo film. Soprattutto perché non è un film di Von trier. Considerato che è uno dei miei registi preferiti, non riconosco il tocco e le tematiche sono banalizzate dall'ambiente scelto (ah, quel fantastico campo da golf dalle 18 buche...) e dai dialoghi che tu stesso hai citato. L'ho trovato quasi di stampo hollywoodiano e mi sono stancata di questo "mondo cattivo" come verità, senza neppure più bisogno di un contesto. Perché qui il contesto non c'è per niente.
RispondiEliminaPoi, va beh, Antichrist per me è il migliore, è stato il salto di qualità che aspettavo da anni. Ma su questo non mi ci metto a discutere, so benissimo di pensarla soltanto io così, mi sono rassegnata!
Eh, io Von Trier devo approfondirlo parecchio ancora. Quando vidi Dogville fu una rivelazione, una capolavoro potentissimo. Decisi di vedere tutto Von Trier di lì a breve. Poi però vidi Antichrist e conobbi livelli di noia che non avevo mai sperimentato: mi spaventai così tanto che non mi avvicinai più a quel nome, o almeno fino a Melancholia, in cui ha mostrato del buon senso. Intendiamoci, neanche secondo me è il capolavoro che dicono, ma manco per sbaglio, però in linea di massima mi è piaciuto, lo ritengo riuscito. Basa tutto su l'atmosfera ricreata attraverso quella fantascienza di sfondo di cui parlavamo sotto "Another Earth" e convince abbastanza. Peccato che debba necessariamente fare il bimbetto con problemi esistenziali, però...
EliminaSecondo me Antichrist è parecchio atipico...
RispondiEliminaMagari prova dancer in the dark e Le onde del destino, io li trovo immensi. Ma capisco che questa roba dei problemi esistenziali possa infastidire (io ci esco scema, credo che se io e von trier ci trovassimo nella stessa stanza, ci suicideremmo).
Non credo sia una questione di robe esistenziali, lentezza e cose del genere. Adoro Béla Tarr, che fa sembrare Von Trier un Zack Snyder qualunque, figurati. Il problema, almeno per quel poco che ho visto, è l'arroganza di voler proporre grandi cose senza riuscire a farlo, di voler per forza strafare o provocare lo spettatore senza riuscirci, proprio perché posticcio. Comunque "Dancer in the dark" me l'hanno consigliato in molti, solo che il musical mi frena come non so cosa, mentre Le Onde del Destino sì, quello potrei vederlo. (e non ti suicidare con von trier, su)
EliminaQuando dico atipico, intendo proprio quello che dici tu. Per me Melancholia, infatti, è troppo pulito per essere un suo film. Antichrist anche ma è così pesante - o io l'ho trovato tale, probabilmente ha toccato corde sensibili - che la "nitidezza" non mi ha disturbato. Le onde del destino non credo ti piacerà perché, ahimè, ho avuto una discussione simile con Lucia, non molto tempo fa. Anche a lei infastidisce la stessa roba ed anche lei ha apprezzato Melancholia per le medesime tue ragioni. Quindi, credo proprio che il regista non abbia molto da dirti...
RispondiEliminaOh, poi non si sa mai, io un tentativo lo farei lo stesso :-P
Ma neanche l'atipico è un problema. Nel senso, se cambi del tutto registro e lo fai bene, io ti stimo ancora di più. Il problema, a mio avviso, è che lui in Antichrist ha cambiato registro e ha tirato fuori una roba allucinante; per la prima volta al cinema contavo i minuti.
EliminaComunque, io Le Onde me lo vedo, tanto avevo in ogni caso intenzione di approfondire, nonostante i gusti di Lucia siano un ottimo punto di riferimento per me, in questo senso.
Una curiosità alice: ma perché non continui mai a commentare sotto i precedenti commenti. È una cosa atipica all'ultimo Von Trier? ;)
intendi schiacciare Rispondi? Perché, tristemente, ho i neuroni che muoiono a mucchi.
EliminaOh, ma com'è che a me 'sto film non ha annoiato? Figurati che l'ho visto ben due volte in due giorni (caso unico della mia storia di cinefila da 4 soldi).
E ci credo che muoiono se ti guardi due volte in due giorni Antichrist ;); però almeno la morte dei tuoi ha una causa valida, i miei manco quella. No comunque, seriamente, se lo hai fatto davvero allora io ti stimo con tutto me stesso, perché chiaramente non sei di questo mondo, e quindi ti chiedo scusa per tutte le volte che non son stato d'accordo con te.
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