giovedì 3 novembre 2011

Recensione "Naboer - Next Door"

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NABOER (2005)





Regista: Pål Sletaune

Attori: Kristoffer Joner, Cecilie A. Mosli, Julia Schacht

Paese: Norvegia, Danimarca, Svezia



A riproporre con forza la classica considerazione per cui in presenza di un'idea i mezzi passano in secondo piano, senza che questo vada a minare in qualche modo la riuscita di un prodotto è questa volta una pellicola norvegese. “Naboer”, rigorosamente fuori dai radar italiani, è un thriller di appena 72 minuti scritto e diretto da Sletaune - a breve nelle sale con "Babycall" - con gusto e attenzione, tanto da restituire con apparente facilità quello spettro di emozioni capace di trascinare chi guarda fino al termine senza difficoltà alcuna.

Quella raccontata sembra una storia come tante, semplicemente perché in effetti lo è. La pellicola, infatti, non punta particolarmente sullo script, seppur ben scritto, quanto sulla resa dello stesso: Un uomo, John (Kristoffer Joner), dopo esser stato lasciato dalla ragazza Ingrid, fa la conoscenza delle sue vicine di casa, Anne (Cecilie A. Mosli) e Kim (Julia Schacht), due ragazze del tutto singolari che attirano John in un vortice che non riuscirà suo malgrado a gestire.


Quale sia la strada che il protagonista si troverà a percorrere risulta evidente dopo non molto dall'inizio di un film che fortunatamente non cerca di stupire attraverso il classico colpo di scena, tentativo che sarebbe fallito miseramente. Certo vi è la possibilità che al termine comunque lo spettatore resti sorpreso dalla risoluzione della sceneggiatura ma questo accadrebbe solo nel caso di gente particolarmente lenta, di cui non ci occuperemo in questa sede. Al netto di tale ipotesi, quindi, “Naboer” si presenta con una vera e propria dichiarazione di intenti, secondo cui ad essere raccontati saranno l'angoscia, la claustrofobia, l'inquietudine e la morbosità che avvolgeranno John, più che il suo percorso. Percorso che peraltro, come accennato poco sopra, è ben lungi dall'essere una novità nel panorama cinematografico. In quest'ottica la scelta di Sletaune appare ulteriormente coraggiosa, dovendo appunto rendere interessante cose già viste e peraltro palesate fin dal principio.

Ha così inizio quel cammino del tutto simile ad una scala a chiocciola che condurrà gradualmente ed inesorabilmente lo spettatore all'interno dello stesso vortice in cui si troverà il protagonista, seminando angoscia scalino dopo scalino. Inizialmente sarà il carattere grottesco che il regista norvegese sfrutterà al fine di trascinare chi guarda verso quel percorso; il primo incontro del protagonista con le due vicine, infatti, è dominato da dialoghi spiazzanti e richieste quanto meno surreali che spingono la pellicola verso una sensazione di irrealtà che si rivelerà fondamentale per la riuscita della stessa. Dopo queste prime sequenze lo spettatore è già in parte all'interno del film, mosso dalla curiosità, sapientemente stuzzicata, di approfondire le due personalità appena entrate in scena. Da qui in poi non si potrà fare a meno di continuare a scendere, quasi automaticamente, attirati da un fascino maleodorante e fatiscente come l'atmosfera all'interno della casa di Anne e Kim. Un fascino al tempo stesso, però, pervaso di una sensualità morbosa alla quale è difficile non cedere, ma alla quale contestualmente non si riesce a dare una spiegazione.


È a questo punto che risulta quanto mai evidente il peso delle scelte tecniche nella riuscita della pellicola. La stessa infatti è pure atmosfera, ricreata attraverso una simbiosi invidiabile di regia, fotografia ed effetti sonori. Questi ultimi nello specifico, solo apparentemente ingombranti, contribuiscono in maniera notevole pur non risultando invadenti. Alcune sequenze, non a caso, ricordano, ferme restando le dovute e considerevoli distanze, quell'inquietudine suggerita e irreale che si respira nelle pellicole di Lynch. Particolarmente esplicativa, in questo senso, la scena in cui Kim intima al protagonista, incapace di resistere ai suoi istinti, di sedersi di fronte a lei, di chiudere gli occhi e di ascoltare una storia. La regia è perfetta e misurata, alterna movimenti di macchina che si spostano elegantemente in orizzontale da un soggetto all'altro e che sembrano scivolare sull'effetto sonoro che accompagna quel movimento stesso, a controcampi ora classici ora più ricercati. La fotografia nel mentre riempie con una tonalità sull'ocra andante una stanza già di per sé suggestiva che fa da cornice a quanto accade.
Le ambientazioni, invero, giocano anch'esse un ruolo fondamentale. Più precisamente nella resa di una sfumatura ulteriore; una sfumatura che intrecciandosi in maniera perfetta con le altre contribuisce alla definizione di quella atmosfera particolarmente malsana che è poi l'anima della pellicola: un senso di claustrofobia di cui ci si trova inevitabilmente preda, creato in parte attraverso corridoi stretti collegati da porte che sembrano infinite e in parte da una regia che a tali spazi si adatta, stando sul protagonista, non lasciandogli margini di manovra e non lasciandone di conseguenza neanche a chi guarda.


Ciò che al termine restituisce la pellicola è una prigione al tempo stesso vasta ed angusta che consuma il protagonista e con esso lo spettatore. Quest'ultimo come il primo non riesce ad uscirvi, ne sente il peso fino a raschiare il limite della propria sopportazione, che tende infine a vacillare con la sequenza tanto forte quanto macabra che chiude la pellicola.

Unico appunto che può muoversi a “Naober” è la prova dell'attrice che interpreta Kim. Sarebbe potuta essere più convincente e il film non avrebbe avuto difetti di sorta. 

(Si ringrazia Cinefatti per la segnalazione)


9 commenti:

  1. Figurati, non c'è di che:D. Naboer è un film meritevole. E meriterebbe una distribuzione italiana. Un pò come tutti i film che inseriamo nella nostra rubrica "Fatti in uscita" ogni venerdì:D. Il nostro intento è proprio quello di pubblicizzare e far conoscere pellicole che, altrimenti, immeritatamente, qui in Italia finirebbero nel dimenticatoio. E il fatto che ciò desta curiosità in altri blogger non fa altro che farci capire che, forse, possiamo riuscire nel nostro intento:D

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  2. Grandissima curiosità, soprattutto dopo aver visto Babycall al festival, che mi pare abbia lo stesso protagonista maschile di Naboer.
    Mi piace molto come sottolinei la scarsità di movimenti di macchina spaccamaroni e la sobrietà della regia. E' una cosa che ho riscontrato anche in Babycall e che me lo ha fatto apprezzare, forse, più del dovuto.
    Bravo, bravo, bravo

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  3. @ilgiornodeglizombi
    Ma infatti che il tipo sia in gamba a mio avviso è evidente, al di là poi della riuscita del film nel suo insieme (Satyr non sembrava convinto riguardo a Babycall, che io non ho visto).

    Grazie, grazie, grazie.

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  4. Ha dei problemi di sceneggiatura e, a differenza di quello che dici su Naboer, si regge su un colpo di scena piuttosto trito.
    Ma è l' atmosfera ad essere molto bella e di grande intensità e soprattutto la regia. Poi, oh, a me quando tieni la macchina da presa bella ferma, tranne in rare occasioni (e a quel punto lo noti di più e te lo gusti) e mi usi tanti campi lunghi mi fai felice come una pupa

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  5. Ho letto solo la parte introduttiva del tuo post, tornerò a leggerla dopo aver visto il film.

    Curiosità destata.

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  6. @ilgiornodeglizombi
    Senti, mi sta venendo il dubbio che stiamo parlando dello stesso colpo di scena e che Sletaune abbia appunto ripetuto quanto fatto con Naboer. Ora non voglio rischiare anticipazioni, quindi se gentilmente te lo vedi quanto prima, ne parliamo ;) Perché, se è lo stesso, ci sarebbe appunto da discutere.

    Comunque nel caso di Naboer, misurata, riferito alla regia, è più inteso nel senso di controllato, ponderato. Insomma, ciò che fa non la fa a cazzo di cane, per intenderci. Tuttavia stai tranquilla, non c'è l'ombra di Greengrass di sorta.

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  7. Ah ecco. L'ho visto l'altro giorno dopo aver curiosato un po' su imdb, eppure mi sembrava di averne già sentito parlare da qualche parte, o comunque di aver letto il titolo. Era qui. :D
    Avevo già anche iniziato a scriverci qualcosina, magari domani la pubblico.
    Mi è piaciuto e la penso più o meno come te, anche per quanto riguarda la scelta di non puntare sul colpo di scena e di far capire da subito le reali intenzioni. Un piccolo film, ma molto efficace. :)

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    1. Si si, "efficace" è decisamente il termine più adatto, infatti quell'atmosfera malsana ti si infila sottopelle, e non ti lascia più. Anzi, al massimo cresce fino poi all'inquadratura finale in cui rischi la nausea a vita. Son contento ti sia piaciuto.

      E scrivi, ché voglio leggere ;)

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